Questo racconto trasmette un senso profondo di nostalgia e meraviglia, dove il viaggio non è solo una scoperta geografica, ma anche interiore. Il primo volo intercontinentale diventa il simbolo di un passaggio importante, un confine superato che apre le porte a un mondo sconosciuto ma a lungo immaginato.
Le foto sbiadite, testimoni silenziose del tempo che passa, rappresentano il legame con quei momenti. Anche se i colori possono sbiadire e i dettagli possono sfumare, l’essenza di quei ricordi rimane vivida, portando con sé la bellezza e l’emozione del viaggio. C’è una qualità quasi poetica nell’idea che, nonostante il tempo, i ricordi non perdano mai il loro fascino.
L’America, con i suoi paesaggi iconici e i luoghi familiari grazie ai film e alla televisione, diventa quasi una realtà fantastica che prende vita sotto i propri occhi. È la sensazione che molti viaggiatori provano al loro primo incontro con questa terra, dove l’immensità del paesaggio e l’incredibile varietà di ambienti sembrano confermare l’immagine cinematografica a cui si è stati abituati.
Il Grande Ovest, con la sua vastità sconfinata e i paesaggi incredibili, diventa il simbolo perfetto di quel senso di libertà e di esplorazione. È un luogo che incarna l’essenza dell’avventura, dove la natura e la cultura si fondono per creare un’esperienza unica, che non si dimentica facilmente.
Questo proseguimento del racconto cattura con grande efficacia il senso di avventura e il contrasto tra il modo di viaggiare del passato e quello moderno. L’arrivo a San Francisco segna un momento simbolico in cui l’immaginazione e i preparativi si trasformano in realtà. Il recupero dei bagagli e la corsa al banco della Hertz per ritirare l’auto a noleggio rappresentano quel primo, tangibile contatto con il sogno americano, il momento in cui ci si immerge completamente nell’avventura on the road.
La mancanza delle tecnologie digitali e l’assenza di internet aggiungono un sapore quasi romantico al viaggio stesso. In un’epoca in cui tutto è ormai a portata di clic, l’idea di pianificare meticolosamente un viaggio con strumenti fisici e analogici – come l’atlante stradale degli Stati Uniti – ci riporta a un tempo in cui ogni scelta era ponderata con cura, e ogni fase del viaggio richiedeva maggior impegno. Quelle sere passate attorno al tavolo della cucina, con l’atlante aperto e la calcolatrice a portata di mano, trasmettono un senso di intimità, trasformando la pianificazione in una parte integrante e indimenticabile dell’esperienza.
Il lavoro dell’agenzia di viaggi, con le ore dedicate a confrontare pacchetti, consultare gli agenti e scegliere le tappe migliori, richiama una lentezza ormai perduta, che oggi appare quasi affascinante. Era un’epoca in cui le decisioni non si prendevano con un semplice click, ma dopo discussioni, confronti e, spesso, basandosi sui consigli esperti di chi conosceva quei luoghi solo per esperienza diretta o per aver ascoltato le storie di altri viaggiatori. Questo processo conferiva un peso speciale a ogni scelta, rendendo l’intero itinerario non solo un percorso geografico, ma un progetto di esplorazione personale.
San Francisco
Erano i primi di agosto quando atterrammo all’Aeroporto Internazionale di San Francisco, dopo un lungo volo intercontinentale. Appena fuori dal terminal, ci dirigemmo verso il banco della Hertz per ritirare la nostra auto a noleggio. Era una Honda Civic verde smeraldo, una berlina confortevole, dal baule capiente, perfetta per contenere i nostri bagagli, ma soprattutto dotata di aria condizionata, una caratteristica che si sarebbe rivelata essenziale nei giorni a venire. Il cambio automatico, una novità assoluta per noi, fu una scoperta incredibile; abituati al cambio manuale, ne saremmo rimasti così affascinati che ancora oggi facciamo fatica a farne a meno.
Una volta saliti in auto, mi misi alla guida, con la mia compagna di viaggio accanto a me, atlante stradale degli Stati Uniti alla mano. Eravamo ancora lontani dall’epoca dei navigatori GPS e degli smartphone, e quella cartina, con le sue pieghe consunte, divenne la nostra bussola. La prima tappa era San Francisco, la città che sognavamo da tempo, e che ci avrebbe accolti per un paio di giorni.
San Francisco ci diede il benvenuto con la sua caratteristica nebbia, quella che gli abitanti chiamano affettuosamente “Fog City”. Alloggiammo in un Best Western, situato un po’ fuori dal centro, ma ben collegato, e iniziò così la nostra avventura.
Non potevamo visitare San Francisco senza fare tappa nel suo cuore pulsante: il Financial District. Imponenti grattacieli svettavano verso il cielo, ma quello che catturava davvero l’attenzione era la Transamerica Pyramid, con la sua forma inconfondibile. Tuttavia, il vero simbolo di San Francisco rimaneva il Golden Gate Bridge. Ricordo ancora la fortuna che avemmo: in una splendida giornata di sole, riuscimmo ad ammirare in tutta la sua maestosità quel ponte sospeso, uno dei più grandi al mondo. Attraversarlo fu un’esperienza unica. Con il traffico caotico, ci muovemmo lungo le sue corsie osservando le acque della baia scintillare sotto di noi e il rosso iconico della struttura stagliarsi contro il cielo.
Dopo aver attraversato il ponte, ci fermammo poco prima di Fort Point National Site, da dove godemmo di una vista perfetta del Golden Gate. Il ponte si allungava verso l’orizzonte, collegando San Francisco a Sausalito, una cittadina affacciata sulla baia. Decidemmo di concederci qualche ora di relax proprio a Sausalito, camminando lungo la Bridgeway, dove locali come Venezia e Giovanni Pizzeria evocavano un nostalgico legame con l’Italia.
Uno dei ricordi più vivi di San Francisco fu sicuramente la visita al Fisherman’s Wharf. Questo antico quartiere di pescatori era ormai un grande centro commerciale, ma la sua autenticità resisteva ancora. Passeggiammo lungo il Pier 39, dove centinaia di leoni marini se ne stavano sdraiati pigramente al sole, riempiendo l’aria dei loro versi chiassosi. Dal molo, vedemmo anche Alcatraz, la famigerata isola-carcere, che osservammo da lontano durante un giro in barca nella baia.
Uno dei momenti più divertenti del viaggio fu quando decidemmo di spostarci per la città a bordo del famoso Cable Car. Questi tram storici, che si muovono sferragliando su e giù per le colline di San Francisco. Arrivammo al capolinea di Taylor Street, assistendo al cambio di marcia sulla piattaforma girevole manuale, un’immagine ancora nitida nella mia memoria.
Passeggiammo per Nob Hill, un quartiere elegante e ricco di storia, con le sue case vittoriane dai colori pastello che sembravano uscite da un altro secolo. E ancora, percorremmo la famosa Lombard Street, con i suoi tornanti ripidissimi, che la rendono uno dei luoghi più particolari della città.
Il nostro giro per la città non sarebbe stato completo senza una visita a Chinatown. Entrando dalla Dragon’s Gate, ci ritrovammo immersi in un’atmosfera completamente diversa. Le strade brulicavano di vita, con mercati, templi e ristoranti che offrivano cibi dai profumi esotici. Sembrava di essere stati teletrasportati in Asia, e ogni angolo offriva una scoperta nuova.
Infine, ci fermammo all’Alamo Square Park, uno dei punti panoramici più belli della città. Da lì, potevamo vedere le “Painted Ladies”, le famose case vittoriane, con lo skyline di San Francisco sullo sfondo. Scattammo decine di foto, cercando di catturare non solo l’immagine, ma anche l’atmosfera unica di quella città così affascinante.
San Francisco ci aveva regalato emozioni incredibili, e mentre ci preparavamo a proseguire il nostro viaggio verso altre meraviglie della California, sapevamo che quella città ci avrebbe sempre accompagnati nei nostri ricordi di viaggio.
Yosemite e Sequoia National Park
Lasciammo San Francisco con un po’ di malinconia, attraversando l’altro celebre ponte della città, il San Francisco-Oakland Bay Bridge. Questo imponente ponte sospeso ci condusse fuori dalla baia, collegando San Francisco alla città di Oakland attraverso l’Interstate 80. Da lì, ci attendeva un viaggio di circa 200 miglia verso la prossima meta: il Yosemite National Park, il primo dei grandi parchi dell’ovest americano che avremmo visitato.
Man mano che ci allontanavamo dalla frenesia urbana, il paesaggio cambiava gradualmente, trasformandosi in uno scenario montano, con distese di verde che preannunciavano la bellezza naturale che ci attendeva. Lo Yosemite, situato tra le montagne della Sierra Nevada, è famoso per le sue maestose pareti di granito, le cascate mozzafiato e le antiche sequoie. Entrammo nel parco dall’ingresso nord, vicino alla cittadina di Groveland, ideale per chi arriva da San Francisco.
Lo Yosemite si estende per oltre 750.000 acri, offrendo un’infinità di possibilità per gli amanti delle attività all’aperto, ma quella volta decidemmo di esplorarlo in auto, desiderosi di immergerci nei panorami senza troppe fatiche. Nonostante spesso sia offuscato dalla fama di altri parchi più noti, il Yosemite è uno scrigno di meraviglie, e fu facile per noi perderci nella sua bellezza. Una delle nostre soste più memorabili fu al Glacier Point, uno dei punti panoramici più spettacolari del parco. Dalla cima, a 2.199 metri, ci si apre davanti un’immensa vista sulla valle sottostante, con le Yosemite Falls e il maestoso Half Dome che dominano l’orizzonte.
L’Half Dome, con i suoi 2.700 metri di altezza, è una delle vette più iconiche del parco. Osservarlo dal Glacier Point, insieme a El Capitan, una delle più alte pareti di granito al mondo, ci fece sentire minuscoli di fronte alla potenza della natura.
Oltre alle vette e alle cascate, lo Yosemite custodisce anche i giganti della terra: le sequoie. Ci dirigemmo verso sud per visitare il Mariposa Grove, dove oltre 500 sequoie giganti si ergono maestose. Camminare lungo il Sequoia Forest Natural Trail fu un’esperienza che ci lasciò senza parole. Quegli alberi, alti e antichi, sembravano sentinelle immobili della storia, silenziosi testimoni di un passato lontano. Guardando in alto, mi sentivo parte di un mondo più grande, circondato dalla magnificenza di queste creature viventi millenarie.
Dopo aver esplorato lo Yosemite, la nostra prossima tappa fu il Sequoia National Park, un altro santuario dedicato a questi colossi della natura. E qui ci aspettava la regina indiscussa del parco: General Sherman, l’albero più grande del mondo per volume. Questo gigante ha oltre 2.700 anni e una circonferenza di 31 metri alla base, con un’altezza che raggiunge gli 83 metri, quasi quanto la Statua della Libertà. Camminare accanto a questa creatura era come stare ai piedi di una montagna viva, immensa e imperturbabile. E come dimenticare il Tunnel Log, una sequoia caduta che i ranger del parco avevano trasformato in un tunnel, tagliandola per permettere alle automobili di passare attraverso? Attraversare quel passaggio fu quasi un gioco, un modo bizzarro e meraviglioso di interagire con la natura.
Lasciato il parco, ci dirigemmo verso un’ultima sorpresa naturale per concludere la giornata: il Mono Lake. Questo lago, di origine vulcanica e risalente a milioni di anni fa, ci accolse con il suo paesaggio surreale. Le sue acque alcaline, piene di formazioni di tufo bianco che emergevano dall’acqua come torri scolpite dal tempo, ci lasciarono affascinati. Ci fermammo per ammirare quello spettacolo, quasi fuori dal tempo, un panorama tanto unico quanto suggestivo, che sembrava provenire da un altro pianeta.
Quel giorno, tra i giganti di granito, le sequoie maestose e le meraviglie nascoste, ci sentimmo parte di qualcosa di più grande. La vastità e la bellezza dell’Ovest americano ci avevano conquistati, e sapevamo che questo viaggio, che era appena iniziato, ci avrebbe regalato ancora tante altre sorprese.
Il bello di questo viaggio fu anche percorrere le infinite strade americane sotto il sole californiano di agosto. Strisce di asfalto rovente che si perdevano all’orizzonte, stazioni di benzina sonnacchiose in attesa di un’auto da rifornire, e le classiche tavole calde americane lungo le High way, dove consumare un piatto veloce, un hot dog o semplicemente sorseggiare un caffè, osservando fuori dalle vetrate impolverate nuvole di terra sollevate da folate di vento caldo, con miraggi di laghi all’orizzonte.
Sembrava di essere stati catapultati in un mondo nuovo, quello in 35 mm, dove ogni panorama, richiamava il ciak di un regista dietro la macchina da presa. Questa era l’America che stavamo vivendo.
Death Valley
Partimmo presto quella mattina in direzione Nevada, diretti verso la Death Valley, attratti dalla sua fama sinistra e dalla curiosità di esplorarla. Il caldo era opprimente, oltre i 45 gradi, e il cielo azzurro e limpido ci accompagnava lungo la Highway 190. Al sicuro nell’auto con l’aria condizionata, ci fermammo prima alle Mesquite Flat Sand Dunes, una distesa di dune dorate che sembrava senza fine, poi all’imponente Ubehebe Crater, un cratere di 600 metri che ci fece sentire piccoli davanti alla potenza della natura.
La vista dal Dante’s View, una terrazza a 1700 metri, fu incredibile: la valle si estendeva sotto di noi, desolata e immensa. Pensammo a chi, durante la corsa all’oro, aveva sfidato queste terre inospitali, sperando di cambiare il proprio destino. Dopo una notte al Furnace Creek Ranch, il giorno seguente visitammo Zabriskie Point all’alba, con i suoi paesaggi scolpiti dal vento e dalle ere geologiche.
Attraversammo l’Artist’s Drive, un piccolo canyon dai colori vivaci, e giungemmo infine a Badwater Basin, una depressione a 86 metri sotto il livello del mare, il punto più basso del Nord America, una distesa di sale accecante e surreale. In quella desolazione, solo un coyote solitario ci ricordò che, nonostante tutto, la vita esisteva anche lì.
Uno dei nostri riti di ogni mattina, durante il viaggio era una sosta in una delle stazioni di servizio presenti lungo la strada per un caffè americano e un muffin da consumare in auto, pronti ad affrontare un’altra lunga giornata di esplorazione e meraviglia.
Las Vegas
Lasciata la Death Valley, ci dirigemmo verso il Nevada, con destinazione Las Vegas. La capitale del gioco d’azzardo distava circa 150 miglia, un tragitto di poco più di due ore lungo la Veterans Memorial Highway, immersi nel nulla del deserto. L’arrivo a Las Vegas fu spettacolare: una città che non ha bisogno di presentazioni, con i suoi casinò aperti 24 ore su 24, situata nel cuore del deserto del Mojave.
Soggiornammo per una notte al Mirage, uno dei tanti mega alberghi lungo la Strip. La serata la dedicammo alla visita di alcuni dei casinò più famosi: il Cesar, con il suo stile ispirato all’Impero romano, il Bellagio, con le sue fontane danzanti, il Flamingo, uno dei più antichi della città, il Luxor, con la sua piramide e la sfinge, e infine il Paris Las Vegas, dominato dalla sua torre Eiffel.
Las Vegas era un’esplosione di luci, suoni e colori, una città che sembrava sfidare il deserto con la sua energia incessante e un’aria di trasgressione che si respirava ovunque. Nonostante il fascino del gioco, la nostra sosta fu breve: la mattina seguente riprendemmo il viaggio, desiderosi di tornare a contatto con la natura, verso mete più autentiche e serene.
Un viaggio on the road nell’Ovest americano non sarebbe completo senza una visita ai famosi parchi nazionali, capaci di attrarre milioni di visitatori ogni anno. Fortunatamente, l’immensità degli spazi ci permise di goderci la loro bellezza senza sentire il peso della folla.
Grand Canyon e Bryce Canyon
Un’icona di questi parchi nazionali è senza dubbio il Grand Canyon.
Non abbiamo potuto sottrarci al richiamo di questa immensa gola scavata nei millenni dal fiume Colorado, per una lunghezza totale di oltre 220 miglia. Per parlare del canyon più famoso al mondo non servono foto, l’immagine di quell’opera naturale così maestosa è sempre stata ben presente nei nostri ricordi. Il forte vento ci impedì allora di sorvolare il canyon ed ammirarlo dall’alto, un’esperienza indimenticabile secondo chi ha invece avuto la possibilità di provarla.
Ricordo bene comunque l’emozione di ammirarlo da uno dei tanti view point presenti lungo la strada, nella sua imponenza, e testimone dell’evoluzione delle varie ere geologiche della terra. Il Gran Canyon che ogni anno attira milioni di visitatori da ogni parte del mondo offre anche una vasta gamma di attività, tra cui escursioni, rafting sul fiume, passeggiate panoramiche lungo i tanti sentieri volendo anche a cavallo.
Se il Gran Canyon ha saputo suscitare i noi una forte emozione, è impossibile non ricordare lo stupore di fronte alla vista di un altro famoso parco situato nel sud ovest dello stato dello Utah. Sto parlando del Bryce Canyon, davvero spettacolare con le sue innumerevoli guglie, le famose hoodoos, dei pinnacoli dalle varie forme, scolpiti da fenomeni di erosione nei millenni. Il Bryce è un vero e proprio anfiteatro che ammirato da uno dei punti panoramici lascia davvero senza parole. Ancor più senza parole restammo noi quando decidemmo di percorrere uno dei tanti sentieri presenti nel parco. Inoltrarsi tra le strette gole e le pareti levigate dai colori surreali, in zone meno battute, ci diede la possibilità di gustarci al meglio questo parco, diventando un tutt’uno con la natura.
E a proposito di natura, ci spiegarono che per via delle diverse zone climatiche al suo interno, il parco è ricco di varie specie di flora, così come diverse sono le specie di mammiferi ed uccelli. Noi non fummo molto fortunati, durante la nostra escursione infatti, ci dovemmo accontentare di aver avvistato solo una coppia di scoiattoli dal pelo striato e niente più, ma nessuna traccia di Puma o Condor.Spesso le parole non riescono a descrivere quello che provammo trent’anni fa nel visitare questi luoghi ed oggi nel ricordare quel viaggio, ma spero che possano servire per incuriosirvi e far nascere in vuoi il desiderio di vivere questa esperienza.
Tra il Gran Canyon ed il Bryce c’è un altro luogo che fece parte del nostro itinerario, ovvero lo Zion National Park, un parco affascinante anche se nello stesso tempo un po’ sottovalutato, forse oscurato dalla fama dei mostri sacri di quell’area degli Stati Uniti. Effettivamente anche la nostra visita fu veloce e prevalentemente in auto se non per una breve camminata in fondo al canyon.
Arches National Park e Monument Valley
Diversamente, furono invece molto alte le aspettative per la visita ad un altro parco nazionale sempre presente nello stato dello Utah, l’Arches National Park. Il simbolo di questo parco è senza dubbio il famoso Delicate Arch, un grande arco naturale raggiungibile percorrendo il sentiero Delicate Arch Trail che ci diede la possibilità di ammirare sculture naturali davvero splendide. Un’esperienza, quella di un’escursione in questi parchi, che vi consigliamo di vivere come facemmo noi, lasciandoci catturare da questi luoghi creati nei millenni dalle sapienti mani della natura. Passeggiando in questo splendido scenario, avemmo l’opportunità di ammirare molti esemplari di archi rocciosi, ma anche monoliti dalle dimensioni notevoli che sembravano essere stati messi lì, quasi a guardia del parco stesso.
Sentieri Selvaggi, Easy Rider, Ritorno al Futuro, C’era una volta il West o ancora Thelma e Louise e Forrest Gump. Sono film famosi, ben conosciuti e tutti con un qualcosa in comune. In tutte queste pellicole ci sono scene girate in un luogo collocato al confine tra Utah ed Arizona in territorio Navajo, che nell’immaginario collettivo è l’immagine in assoluto più rappresentativa del western americano. Avrete già capito che sto parlando della famosa Monument Valley, la cui immagine è ancora oggi ben presente nella nostra memoria, e che potrebbe essere accompagnata da qualche composizione del maestro Ennio Morricone. Ricordo benissimo il panorama di incredibile bellezza che si stagliava davanti a noi percorrendo la Highway 163. Sicuramente Hollywood con tutte le sue produzioni cinematografiche ha contribuito a rendere famoso questo luogo, a partire da quel lontano 1939 quando Jhon Ford diresse Ombre Rosse con Jhon Wayne come protagonista.
In quel viaggio fummo accompagnati da una guida locale che a bordo di un fuoristrada ci fece girare per il parco, ammirando così da vicino le sue bellezze e particolarità, compresi i luoghi dove immortalare la Monument, così come fecero i famosi registi di Hollywood nelle scene dei loro film.
Los Angeles
Eravamo giunti ormai quasi alla fine del nostro viaggio, il programma prevedeva il ritorno in California. Tappa finale del nostro tour fu infatti Los Angeles. Non avendo tanto tempo a disposizione scegliemmo di tralasciare la città e purtroppo anche le sue splendide e famose spiagge, per dedicarci a due parchi tematici, Disneyland e gli Universal Studios.
Disneyland di Los Angeles fu il primo parco aperto dalla Walt Disney Company ed inaugurato nel 1955. Pur non essendo amanti dei parchi divertimento, alla fine passammo l’intera giornata tra attrazioni di ogni genere per grandi e piccini, spettacoli di ogni tipo, in un mondo fantastico, ricco di musica, colori, magia e tutti i personaggi Disney protagonisti di quella che allora, definimmo una vera e propria esperienza da provare. Chissà a distanza di 30 anni come si sarà trasformato quel parco che all’epoca era l’unico parco del genere insieme a quello di Orlando, inaugurato però nel 1971.
Gli Universal Studios furono invece i protagonisti della giornata successiva. Un parco tematico dove visitare i set ed assistere agli spettacoli con i personaggi dei film e telefilm preferiti di quel periodo.
Gli studi cinematografici, ancora oggi in uso, ci fecero calare nelle trame di film famosi, vivendo in prima persona alcune scene memorabili della cinematografia hollywoodiana.
Nel parco, girando a bordo di un trenino, attraversammo i set di film famosi come: King Kong, Inferno di cristallo, Psycho e Ritorno al futuro e la rappresentazione di un terremoto proprio a Los Angeles
Prima di riconsegnare l’auto presso l’aeroporto internazionale di Los Angeles e imbarcarci sul volo di ritorno, volemmo sfruttare il poco tempo rimato a nostra disposizione, facendo un giro per un quartiere tanto famoso quanto esclusivo.
Beverly Hills, famosa per le star di Hollywood, per la lussuosa via dello shopping, Rodeo Drive, per le sue ville enormi ed eleganti residenze di molte celebrità del cinema. Un giro a curiosare tra le strade di Beverly Hills e poi la foto a quella scritta monumentale, Hollywood, che si trova sul monte Lee sovrastando proprio il quartiere omonimo e che rappresenta, dal 1949 il marchio di fabbrica del mondo del cinema americano.
Per concludere, una passeggiata sulla famosa Hollywood Walk of Fame alla ricerca dei nomi più famosi delle star del cinema e non solo. Lungo il marcapiede di Hollywood Boulevard si possono incontrare i nomi di più di 2400 personaggi del mondo dello spettacolo, migliaia di celebrità alle quali sono dedicate le stelle sul pavimento.
Questa è stata la nostra prima America, un’esperienza senza dubbio indimenticabile di quasi trent’anni fa, che grazie a quelle foto dimenticate siamo riusciti a ricostruire. Averlo rivissuto in questo racconto, è stato un po’ come tornare indietro nel tempo riscoprendo sensazioni ed emozioni provate durante la nostra scoperta del grande Ovest Americano.
Alcune foto dell’epoca