Viaggi · 22/02/2024

1997: la prima volta in America

Per raccontarvi questo viaggio abbiamo fatto non poca fatica, abbiamo scavato in fondo alla nostra memoria per ricostruire un itinerario che ci ha portato per la prima volta oltre oceano.
Sono passati quasi trent’anni da allora e nonostante sia stato uno dei viaggi più belli, forse proprio perché è stato il nostro primo vero grande viaggio, i ricordi risultano però un po’ sbiaditi, più o meno come quelle foto ritrovate negli album dimenticati in fondo ad un armadio.

Quelle foto, un po’ scolorite, stampate su carta lucida rigorosamente 10 per 15, hanno fatto riaffiorare in noi i ricordi dei tanti chilometri percorsi sulle strade e sulle interminabili Highway americane, ricordi degli sconfinati panorami e dei luoghi iconici di un’America fino a quel giorno vista solo in tv o sul grande schermo.
Essere lì era proprio come essere dentro un film dalla trama indefinita, una sorta di collage di scene famose viste e riviste ma mai da protagonisti.

Partimmo da Milano con un volo Lufthansa fino a Francoforte e poi da Francoforte a New York.
Era per noi il primo viaggio intercontinentale, una novità, abituati a tratte ben più brevi e perlopiù in auto. Circa 8 ore di volo, e poi l’arrivo al JFK di New York. Raggiunta la città della grande mela, pur consapevoli che si trattasse solo di un transito, pensavamo ingenuamente che ormai il grosso del nostro viaggio aereo fosse terminato.
Mancavano invece ancora circa 6 ore di volo interno, con la compagnia TWA e l’attraversamento cost to cost degli Stati Uniti d’America prima di raggiungere la destinazione finale.

Da lì sarebbe poi iniziato il nostro viaggio alla scoperta del Grande Ovest.


Raggiungemmo San Francisco che era mattina inoltrata, e la prima cosa da fare, una volta recuperati i bagagli, fu quella di raggiungere il banco della Hertz per ritirare la nostra auto preventivamente prenotata dall’Italia.

Una premessa è indispensabile per comprendere meglio il contesto in cui organizzammo il viaggio. All’epoca non esisteva internet, le prenotazioni non si potevano fare online come oggi, ci si doveva quindi affidare alle agenzie viaggio, le uniche in grado di prenotarci un volo, un albergo o un’auto a noleggio.

In quel periodo in edicola c’era una rivista mensile che si chiamava Gente Viaggi, e quell’anno, per tre numeri consecutivi, regalava come inserto, l’atlante stradale degli Stati Uniti. Erano tre volumi ben dettagliati che contribuirono a far nascere in noi l’idea di quel viaggio.
Proprio grazie a quegli atlanti stradali, potemmo organizzarci il nostro itinerario. Ricordo ancora bene le sere passate in cucina, sul tavolo appena sparecchiato dopo la cena, a evidenziare tutte le località che avremmo voluto visitare, tutti i luoghi più iconici dell’ovest americano che non potevamo assolutamente tralasciare. Ricordo anche il calcolo meticoloso della lunghezza dei trasferimenti, con la calcolatrice alla mano per convertire le miglia in chilometri ed avere un’idea più precisa delle distanze da percorrere giorno per giorno. Una volta stabilito l’itinerario definitivo, il passo successivo fu passare ore in agenzia, per scegliere e prenotare alberghi e voli, secondo il nostro programma

San Francisco

Erano i primi di agosto quando arrivammo all’Aeroporto Internazionale di San Francisco, situato ad una ventina di chilometri dal centro della città. Ritirammo la nostra Honda, forse una civic oggi sicuramente fuori produzione di colore verde smeraldo inconfondibile. Era una berlina con un baule sufficientemente capiente per poter contenere i nostri bagagli, ma soprattutto con aria condizionata, che scopriremo essere fondamentale, e cambio automatico, una scoperta incredibile per noi all’epoca e dalla quale tuttora facciamo fatica a rinunciare.

Saliti in auto mi misi alla guida, coadiuvato dalla mia compagna di viaggio in veste di navigatore, con tanto di atlante stradale alla mano: si perché in quegli anni, non esistevano neppure i navigatori e quella cartina stradale, fu l’unico strumento per poterci orientare sulle strade americane.

La prima tappa del nostro viaggio fu ovviamente San Francisco. Passammo un paio di giorni in quella che era chiamata anche Fog City per via della nebbia, che quasi quotidianamente invadeva la baia e le strade della città. Alloggiammo in un Best Western poco fuori il centro, ma comunque comodo per i nostri spostamenti.

Nel Financial District, il cuore economico e finanziario della città, con Montgomery Street paragonata alla più famosa Wall Street newyorkese, spicca la Transamerica Pyramid, il grattacielo più caratteristico e distintivo della città.
Ma il vero simbolo di San Francisco è senza dubbio il Golden Gate Bridge.
Ricordo che avemmo la fortuna di ammirarlo in tutta la sua bellezza, in una splendida giornata di sole, graziati dalla nebbia che spesso in alcune ore della giornata ne impediva la vista.
Abbiamo percorso quei tre chilometri di ponte, uno dei ponti sospesi più grandi del mondo, con la sua struttura imponente, il suo colore rosso inconfondibile e il suo traffico spesso caotico, nonostante le quattro corsie per senso di marcia.

Sono diversi i punti di osservazione per ammirare la struttura nella sua interezza, per avere un bel colpo d’occhio. Noi ci fermammo poco prima del Fort Point National Site, una fortezza dell’epoca della guerra civile. Da lì fu possibile ammirare il simbolo di San Francisco, che si protendeva nella baia fino a raggiungere dalla parte opposta la cittadina di Sausalito, una graziosa località di mare sulla costa, affacciata sulla Richardson Bay.

In questa località costiera, ci fu possibile passare qualche ora di relax ma avremmo anche potuto pranzare in uno dei tanti ristoranti presenti. Infatti, ho rivisto su alcune foto i locali con cucina italiana dai nomi nostrani, come Venezia, Giovanni Pizzeria e Angelino restaurant, ed alcuni di questi sono ancora presenti lungo la Bridge Way, proprio come trent’anni fa.

Mettendo in ordine i ricordi della visita di San Francisco, non possiamo dimenticarci del Fisherman Wharf, l’antico quartiere dei pescatori, anche se già allora era ormai un centro commerciale a cielo aperto con una vista incredibile sulla baia e sull’isola di Alcatraz.
Al Fisherman Warf, ricordo di essermi segnato due cose da vedere, il famoso Pier 39, l’antico molo trasformato in una delle zone più commerciali e affollate di tutta la città e gli immancabili e chiassosi leoni marini, una colonia che nei mesi invernali supera le mille unità, che se ne stavano pigramente sdraiati al sole proprio sotto il molo.
Sempre da quel molo partivano poi le escursioni nella baia e all’isola di Alcatraz. Anche noi optammo per un giro in barca, ammirando direttamente dal mare il mitico Golden Gate e circumnavigando l’isola, dove sorgeva l’ex carcere di massima sicurezza di Alcatraz, che però non visitammo.

Per raggiungere il Fisherman Wharf, utilizzammo il famoso Cable Car, un’esperienza sicuramente da provare su e giù per le colline della città. Raggiungemmo il capolinea di Taylor street, dopo aver percorso un buon tratto di strada a bordo dei caratteristici tram della compagnia Powell & Mason. Si tratta di carrozze aperte sulle quali si sale e si scende quasi al volo, e lo sferragliare delle rotaie insieme allo scampanellio del conducente, sono i suoni tipici che accompagnano il viaggiatore lungo il suo tragitto.
Assistere al cambio di marcia sulla piattaforma girevole manuale del capolinea, fu l’altro ricordo ancora nitido di quei giorni, così come indimenticabile fu la visita al quartiere di Nob Hill, situato sull’omonima collina, una delle Seven Hills di San Francisco, le sette colline che formano la città.

Questo quartiere è tra i più eleganti e snob della città, con le sue caratteristiche case in stile coloniale. Passeggiare per queste strade tra le lussuose case vittoriane, osservando passare i classici tram degli anni 50, era come ritrovarsi in un’epoca ormai lontana da noi.
In una città come San Francisco non mancano di sicuro le cose da vedere, come ad esempio la famosa Lombard Street, famosa soprattutto nel tratto di Russian Hill, con i suoi ripidi tornanti.

Del quartiere di Chinatown, ricordo nitidamente la grande Dragon’s Gate, la porta d’ingresso principale.
Una volta all’interno, è come essere teletrasportati in Asia. Passeggiando per le vie del quartiere ci trovammo avvolti da un mix di colori e decorazioni caratteristiche, incontrammo tipici mercati, templi buddisti, e ristoranti dove assaggiare cibi dal sapore unico. Il quartiere di Chinatown a San Francisco accoglie la seconda comunità cinese più grande degli Stati Uniti, superata solo da quella di New York.

Non avremmo potuto lasciare San Francisco senza aver immortalato lo skyline della città, e quale posto migliore se non l’Alamo Square Park.? Si tratta di un punto sopraelevato in un quartiere residenziale che ci diede la possibilità di immortalare le tipiche case stile vittoriano dal colore pastello, con lo Skyline di San Francisco come sfondo, formato daigrattacieli del Financial District.

Yosemite e Sequoia National Park

Lasciammo un po’ a malincuore questa città attraverso l’altro famoso ponte, il San Francisco Okland Bay Bridge, un ponte sospeso che attraversa la baia, collegando proprio San Francisco con la città di Oakland attraverso l’Interstate 80.

Erano circa 200 le miglia che ci dividevano dalla successiva meta, il primo dei grandi parchi dell’ovest americano, lo Yosemite National Park.

Una meraviglia naturale situata nelle montagne della Sierra Nevada e rinomato per le sue incredibili pareti di granito, le alte cascate e gli antichi alberi di sequoia.
Raggiungemmo il parco dall’entrata Nord di Groveland, quella più comoda per chi proviene da San Francisco.
Lo Yosemite si estende su oltre 750.000 acri e offre una vasta gamma di attività all’aria aperta, su tutte, escursioni ed arrampicate.
Noi invece visitammo il parco comodamente in auto, poco propensi quella volta ad attività outdoor.
Spesso si viene attratti da parchi i cui nomi risultano essere ben più famosi e si tende a non tenere in giusta considerazione questo, che regala panorami immensi, come quelli del Glacier Point. È uno dei punti panoramici più belli del parco a quota 2199 metri, raggiungibile proprio percorrendo la Glacier Point Road.
Riguardando le foto di quel viaggio, ho rispolverato questa cartolina che avevo dimenticato ed ho potuto riscoprire la bellezza di quella vista, un colpo d’occhio davvero notevole sulla valle dello Yosemite con le Yosemite Falls e l’Half Dome a fare da sfondo.
L’Half Dome è una delle vette più belle del parco con i suoi 2700 metri di altezza e fa il paio con El Capitan altro simbolo dello Yosemite, uno dei massi granitici più alti al mondo.

Sempre all’interno dello Yosemite nella parte sud del parco, visitammo anche il Mariposa Grove, un bosco con oltre 500 esemplari di sequoie giganti che ci lasciarono a bocca aperta. Nella nostra visita percorremmo il Sequoia Forrest Natural Trail, un sentiero che ci diede la possibilità di esplorare i punti più importanti di questa area. Ci trovammo al cospetto di alberi talmente immensi da farci sentire ancora più piccoli rispetto alla grandezza della natura.

Quelle del Mariposa Grove, non furo le uniche sequoia che incontrammo. La tappa successiva fu infatti il Sequoia National Park.

Di questo parco non possiamo dimenticare la regina indiscussa, quel General Sherman che da oltre 2700 anni è la vera star del parco, una imponente sequoia di 31 metri di circonferenza e 83 di altezza, quasi come la Statua della Libertà.
Girando per quel parco ricordo di essermi trovato spesso con la testa all’insù, ad ammirare questi giganti buoni, ondeggiare al vento come fossero impegnati in una danza silenziosa. Ricordo anche il Tunnel Log, la sequoia caduta, che i rangers del parco pensarono di trasformare in un vero e proprio tunnel tagliandone una parte per permettere alle automobili di passarci sotto.

A chiudere la giornata fu una breve sosta al Mono Lake, un lago altamente alcalino di origine vulcanica risalente a milioni di anni fa, il secondo più antico di tutta l’America del Nord. Lo incontrammo lungo la strada ed era caratterizzato da formazioni di tufo bianco che emergevano dall’acqua, formando uno scenario unico e suggestivo.

Il bello di questo viaggio fu anche percorrere le infinite strade americane sotto il sole californiano di agosto. Strisce di asfalto rovente che si perdevano all’orizzonte, stazioni di benzina sonnacchiose in attesa di un’auto da rifornire, e le classiche tavole calde americane lungo le High way, dove consumare un piatto veloce, un hot dog o semplicemente sorseggiare un caffè, osservando fuori dalle vetrate impolverate nuvole di terra sollevate da folate di vento caldo, con miraggi di laghi all’orizzonte.
Sembrava di essere stati catapultati in un mondo nuovo, quello in 35 mm, dove ogni panorama, richiamava il ciak di un regista dietro la macchina da presa. Questa era l’America che stavamo vivendo.

Death Valley

Proseguimmo in direzione Nevada raggiungendo un luogo il cui nome non sembrava presagire nulla di buono, ma che non avremmo potuto saltare: la famosa Death Valley, ovvero la valle della morte.

Raggiungemmo la nostra nuova meta percorrendo la Highway 190. In un tour nell’ovest degli Stati Uniti d’America che si rispetti, questa meta non può certo mancare, sarebbe come un’opera incompiuta, come fosse mancata una tessera in un puzzle. Furono due le cose che ricordo benissimo una volta raggiunta la valle: il gran caldo, quasi insopportabile, oltre i 45° e il cielo terso e azzurro. Girammo in auto al fresco del nostro condizionatore, raggiungendo prima le Mesquite Flat Sand Dunes, delle dune di sabbia nel bel mezzo della valle desertica, l’Ubehebe Crater, un cratere di 600 metri di diametro, e infine il punto panoramico Dante’s View, una terrazza a quasi 1700 metri di altezza, che ci ha permesso di ammirare una vista spettacolare su tutta la valle. Vivere da quelle parti non deve essere sicuramente semplice e cercammo di immaginare, cosa volesse dire farlo ai tempi della corsa all’oro, quando in queste zone si riversarono molti americani alla ricerca di quelle pepite che avrebbero cambiato la loro vita.

Dopo la notte passata al Furnace Creek Ranch, una delle poche strutture disponibili nella valle, il giorno seguente proseguimmo la visita raggiungendo altri tre luoghi assolutamente da non perdere. Cercando di sfruttare le prime ore della mattina, con una temperatura un po’ più sopportabile, raggiungemmo Zabriskie Point. Un vero e proprio must della Death Valley, una conformazione geologica che proprio all’alba, o al tramonto, da il meglio di sé, e per questo è uno dei luoghi più fotografati del parco.

Artist’s Drive and Palette è invece un piccolo canyon, visibile anche dalla strada, caratterizzato da rocce dai colori vivaci grazie alla presenza al suo interno di vari minerali come magnesio e ferro.

Badwater Basin fu l’ultima tappa in questo luogo desolato. Si tratta di un’attrazione naturale assolutamente imperdibile, una depressione a 86 metri sotto il livello del mare, il punto più bassa dell’intera America del Nord, con al centro una immensa distesa di sale, capace di diffondere nelle ore di punta una luce quasi accecante ma di sicuro impatto.

Girare per la Valle della Morte ci diede l’impressione di essere approdati in un’era lontana dalla nostra, su un pianeta quasi privo di forme di vita se non fosse per quel coyote solitario che incontrammo lungo la strada desolatamente deserta.

Durante il nostro viaggio avevamo un rito mattutino al quale difficilmente rinunciavamo. Infatti, in quella vacanza eravamo particolarmente mattinieri, la nostra giornata iniziava presto così da sfruttare il più possibile tutte le ore di luce. Avendo i giorni contati, dovevamo scandire bene le nostre giornate, cercando di rispettare il più possibile il programma che con fatica e meticolosità avevamo costruito nei mesi precedenti.

La prima cosa che facevamo sempre appena saliti in auto era quella di cercare una stazione di servizio per fare rifornimento e acquistare dalla tavola calda solitamente adiacente, un paio di tazze di caffè americano e due muffin con gocce di cioccolato da consumare strada facendo, mentre macinavamo le solite centinaia di miglia quotidiane che ci dividevano dalle varie mete programmate.
Solo così, ogni mattina, eravamo davvero pronti per iniziare la giornata.

Las Vegas

Esaurita la visita nel Death Valley National Park lasciammo la California per entrare ufficialmente nello stato del Nevada con destinazione Las Vegas.
La capitale del gioco d’azzardo e del divertimento distava circa 150 miglia, che percorremmo lungo la Veterans Memorial Highway, la numero 95. In poco più di due ore di viaggio su una strada nel bel mezzo del nulla, raggiungemmo Las Vegas, che di sicuro non ha bisogno di presentazioni,: la sua fama ed il suo fascino, infatti, la precedono. Situata nel deserto del Mojave, è famosa per i suoi casinò aperti 24 ore su 24.
Alloggiammo per una notte al Mirage su Las Vegas Boulevard South, un mega albergo casinò, uno dei tanti in città, e la sera fu dedicata proprio alla visita di alcuni di questi, presenti lungo la Strip. Ricordo bene che entrammo al Cesar, con il suo stile che richiamava chiaramente l’Impero romano, al Bellagio, con le sue fantastiche fontane, al Flamingo tra i più vecchi della città, e ancora al Luxor, con la sua forma piramidale e la ricostruzione della sfinge e per finire al Paris Las Vegas, con tanto di torre Eiffel all’ingresso.
Una miriade di luci, colori e suoni capaci di frastornare il turista, dove poter respirare un po’ di aria di trasgressione, provando l’euforia del gioco, in quella che possiamo definire una delle mete più famose al mondo per la vita notturna.

Non avendo velleità di tentare la fortuna per cambiare vita, la nostra sosta a Las Vegas fu breve, l’indomani mattina infatti riprendemmo il nostro itinerario con mete decisamente più naturali e per noi più attraenti.

Intraprendere un viaggio on the road nell’ovest degli Stati Uniti d’America, non può non comprendere la vista ai principali parchi nazionali, famosi in tutto il mondo e capaci di attrarre ogni anno milioni di visitatori. Fortunatamente gli spazi immensi non ci hanno fatto percepire tutta questa affluenza.

Grand Canyon e Bryce Canyon

Un’icona di questi parchi nazionali è senza dubbio il Grand Canyon.
Non abbiamo potuto sottrarci al richiamo di questa immensa gola scavata nei millenni dal fiume Colorado, per una lunghezza totale di oltre 220 miglia. Per parlare del canyon più famoso al mondo non servono foto, l’immagine di quell’opera naturale così maestosa è sempre stata ben presente nei nostri ricordi. Il forte vento ci impedì allora di sorvolare il canyon ed ammirarlo dall’alto, un’esperienza indimenticabile secondo chi ha invece avuto la possibilità di provarla.

Ricordo bene comunque l’emozione di ammirarlo da uno dei tanti view point presenti lungo la strada, nella sua imponenza, e testimone dell’evoluzione delle varie ere geologiche della terra. Il Gran Canyon che ogni anno attira milioni di visitatori da ogni parte del mondo offre anche una vasta gamma di attività, tra cui escursioni, rafting sul fiume, passeggiate panoramiche lungo i tanti sentieri volendo anche a cavallo.

Se il Gran Canyon ha saputo suscitare i noi una forte emozione, è impossibile non ricordare lo stupore di fronte alla vista di un altro famoso parco situato nel sud ovest dello stato dello Utah. Sto parlando del Bryce Canyon, davvero spettacolare con le sue innumerevoli guglie, le famose hoodoos, dei pinnacoli dalle varie forme, scolpiti da fenomeni di erosione nei millenni. Il Bryce è un vero e proprio anfiteatro che ammirato da uno dei punti panoramici lascia davvero senza parole. Ancor più senza parole restammo noi quando decidemmo di percorrere uno dei tanti sentieri presenti nel parco. Inoltrarsi tra le strette gole e le pareti levigate dai colori surreali, in zone meno battute, ci diede la possibilità di gustarci al meglio questo parco, diventando un tutt’uno con la natura.
E a proposito di natura, ci spiegarono che per via delle diverse zone climatiche al suo interno, il parco è ricco di varie specie di flora, così come diverse sono le specie di mammiferi ed uccelli. Noi non fummo molto fortunati, durante la nostra escursione infatti, ci dovemmo accontentare di aver avvistato solo una coppia di scoiattoli dal pelo striato e niente più, ma nessuna traccia di Puma o Condor.
Spesso le parole non riescono a descrivere quello che provammo trent’anni fa nel visitare questi luoghi ed oggi nel ricordare quel viaggio, ma spero che possano servire per incuriosirvi e far nascere in vuoi il desiderio di vivere questa esperienza.

Tra il Gran Canyon ed il Bryce c’è un altro luogo che fece parte del nostro itinerario, ovvero lo Zion National Park, un parco affascinante anche se nello stesso tempo un po’ sottovalutato, forse oscurato dalla fama dei mostri sacri di quell’area degli Stati Uniti. Effettivamente anche la nostra visita fu veloce e prevalentemente in auto se non per una breve camminata in fondo al canyon.

Arches National Park e Monument Valley

Diversamente, furono invece molto alte le aspettative per la visita ad un altro parco nazionale sempre presente nello stato dello Utah, l’Arches National Park. Il simbolo di questo parco è senza dubbio il famoso Delicate Arch, un grande arco naturale raggiungibile percorrendo il sentiero Delicate Arch Trail che ci diede la possibilità di ammirare sculture naturali davvero splendide. Un’esperienza, quella di un’escursione in questi parchi, che vi consigliamo di vivere come facemmo noi, lasciandoci catturare da questi luoghi creati nei millenni dalle sapienti mani della natura. Passeggiando in questo splendido scenario, avemmo l’opportunità di ammirare molti esemplari di archi rocciosi, ma anche monoliti dalle dimensioni notevoli che sembravano essere stati messi lì, quasi a guardia del parco stesso.

Sentieri Selvaggi, Easy Rider, Ritorno al Futuro, C’era una volta il West o ancora Thelma e Louise e Forrest Gump. Sono film famosi, ben conosciuti e tutti con un qualcosa in comune. In tutte queste pellicole ci sono scene girate in un luogo collocato al confine tra Utah ed Arizona in territorio Navajo, che nell’immaginario collettivo è l’immagine in assoluto più rappresentativa del western americano. Avrete già capito che sto parlando della famosa Monument Valley, la cui immagine è ancora oggi ben presente nella nostra memoria, e che potrebbe essere accompagnata da qualche composizione del maestro Ennio Morricone. Ricordo benissimo il panorama di incredibile bellezza che si stagliava davanti a noi percorrendo la Highway 163. Sicuramente Hollywood con tutte le sue produzioni cinematografiche ha contribuito a rendere famoso questo luogo, a partire da quel lontano 1939 quando Jhon Ford diresse Ombre Rosse con Jhon Wayne come protagonista.
In quel viaggio fummo accompagnati da una guida locale che a bordo di un fuoristrada ci fece girare per il parco, ammirando così da vicino le sue bellezze e particolarità, compresi i luoghi dove immortalare la Monument, così come fecero i famosi registi di Hollywood nelle scene dei loro film.

Los Angeles

Eravamo giunti ormai quasi alla fine del nostro viaggio, il programma prevedeva il ritorno in California. Tappa finale del nostro tour fu infatti Los Angeles. Non avendo tanto tempo a disposizione scegliemmo di tralasciare la città e purtroppo anche le sue splendide e famose spiagge, per dedicarci a due parchi tematici, Disneyland e gli Universal Studios.
Disneyland di Los Angeles fu il primo parco aperto dalla Walt Disney Company ed inaugurato nel 1955. Pur non essendo amanti dei parchi divertimento, alla fine passammo l’intera giornata tra attrazioni di ogni genere per grandi e piccini, spettacoli di ogni tipo, in un mondo fantastico, ricco di musica, colori, magia e tutti i personaggi Disney protagonisti di quella che allora, definimmo una vera e propria esperienza da provare. Chissà a distanza di 30 anni come si sarà trasformato quel parco che all’epoca era l’unico parco del genere insieme a quello di Orlando, inaugurato però nel 1971.

Gli Universal Studios furono invece i protagonisti della giornata successiva. Un parco tematico dove visitare i set ed assistere agli spettacoli con i personaggi dei film e telefilm preferiti di quel periodo.
Gli studi cinematografici, ancora oggi in uso, ci fecero calare nelle trame di film famosi, vivendo in prima persona alcune scene memorabili della cinematografia hollywoodiana.

Nel parco, girando a bordo di un trenino, attraversammo i set di film famosi come: King Kong, Inferno di cristallo, Psycho e Ritorno al futuro e la rappresentazione di un terremoto proprio a Los Angeles

Prima di riconsegnare l’auto presso l’aeroporto internazionale di Los Angeles e imbarcarci sul volo di ritorno, volemmo sfruttare il poco tempo rimato a nostra disposizione, facendo un giro per un quartiere tanto famoso quanto esclusivo.
Beverly Hills, famosa per le star di Hollywood, per la lussuosa via dello shopping, Rodeo Drive, per le sue ville enormi ed eleganti residenze di molte celebrità del cinema. Un giro a curiosare tra le strade di Beverly Hills e poi la foto a quella scritta monumentale, Hollywood, che si trova sul monte Lee sovrastando proprio il quartiere omonimo e che rappresenta, dal 1949 il marchio di fabbrica del mondo del cinema americano.
Per concludere, una passeggiata sulla famosa Hollywood Walk of Fame alla ricerca dei nomi più famosi delle star del cinema e non solo. Lungo il marcapiede di Hollywood Boulevard si possono incontrare i nomi di più di 2400 personaggi del mondo dello spettacolo, migliaia di celebrità alle quali sono dedicate le stelle sul pavimento.

Questa è stata la nostra prima America, un’esperienza senza dubbio indimenticabile di quasi trent’anni fa, che grazie a quelle foto dimenticate siamo riusciti a ricostruire. Averlo rivissuto in questo racconto, è stato un po’ come tornare indietro nel tempo riscoprendo sensazioni ed emozioni provate durante la nostra scoperta del grande Ovest Americano.

Alcune foto dell’epoca